1. PREMESSA

Il titolo dell’intervento odierno, a mio avviso, rappresenta l’essenza del contenuto degli artt. 47, 48 e 49 del D.L. 152/2021, i quali hanno, per l’appunto, colorato il codice antimafia introducendo due modifiche estremamente rilevanti, ossia:

  1. la possibilità per il privato di partecipare attivamente al procedimento finalizzato all’emanazione dell’informativa;

  2. la possibilità, in capo al Prefetto, di adottare strumenti di prevenzione collaborativa in presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa riconducibili a situazioni di “agevolazione occasionale”.

2. IL QUADRO GIURISPRUDENZIALE ANTECEDENTE ALL’ENTRATA IN VIGORE DEL D.L. 152/2021.

Con specifico riferimento al primo punto, che sarà oggetto del presente intervento, pare opportuno ripercorrere brevemente le tappe essenziali che hanno portato all’entrata in vigore della novella del 2021.

a) La pronuncia dal peso specifico maggiore sulla compressione delle garanzie procedimentali nella materia delle interdittive antimafia è probabilmente quella della Corte Costituzionale, n. 103/1993, con cui i Giudici delle leggi hanno chiarito che la disciplina sul procedimento amministrativo è rimessa alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della ragionevolezza e nel rispetto degli altri principi costituzionali, tra i quali non è ricompreso quello del giusto procedimento amministrativo, in quanto la tutela delle situazioni soggettive è comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt. 24 e 113 Cost.

b) Le coordinate interpretative fornite dalla Corte Costituzionale sono state fatte proprie anche dalla giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado, la quale ha in più occasioni ribadito che le pur meritorie esigenze partecipative possono essere compresse – se non eliminate – nel caso in cui vengano in rilievo esigenze di tutela dell’ordine pubblico e del corretto vivere sociale, minacciati costantemente dal fenomeno mafioso.

Si menziona, a tal proposito, Consiglio di Stato sentenza n. 758/2019: «Non da ultimo, infatti, questo stesso Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3 del 6 aprile 2018 dell’Adunanza plenaria, ha evidenziato che l’informazione antimafia è un provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. La delicatezza di tale ponderazione, intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, essendo la disciplina del procedimento amministrativo “rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali”, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo».

c) Il legislatore, quindi, si era limitato a prevedere, all’art. 93, comma 7, D.L. 159/2011, un’unica forma di partecipazione procedimentale, su esclusiva iniziativa del Prefetto e solo ove fosse ritenuta utile.

d) Tuttavia, a fronte di un quadro giurisprudenziale così consolidato, è intervenuta la pronuncia della Corte di Giustizia del 28 maggio 2020, la quale, sollecitata dal TAR Puglia – Bari con ordinanza n. 28/2020, ha sì dichiarato irricevibile il ricorso per difetto di rilevanza transfrontaliera, ma ha comunque avuto modo di precisare che «il rispetto dei diritti della difesa costituisce un parametro generale del diritto dell’Unione, che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio e che in forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione.»

In altri termini, confermando un orientamento costante, la Corte di Giustizia ha confermato che la compressione delle garanzie procedimentali può essere ammessa, purché l’intervento non si riveli sproporzionato rispetto alle esigenze del caso concreto.

e) Da ultimo, preme menzionare la decisione del Consiglio di Stato n. 4979/2020, successiva alla suddetta pronuncia della Corte di Giustizia, la quale ha evidenziato la necessità di «un quantomeno parziale recupero delle garanzie procedimentali, nel rispetto dei diritti di difesa spettanti al soggetto destinatario del provvedimento […] in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale».

3. LA NOVELLA DEL 2021.

Il legislatore nazionale, quindi, spinto da correnti europee e nazionali, è intervenuto sul punto, per il tramite dell’art. 48 D.L. 152/2021, che ha introdotto il comma 2-bis dell’art. 92 del codice antimafia.

Tale norma prevede una partecipazione del privato “attenuata” rispetto a quella classica contemplata dalla legge n. 241/1990, partecipazione che può essere sintetizzata nei seguenti termini:

  1. Una volta avviata l’istruttoria per verificare la sussistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento informativo, laddove il Prefetto ritenga di dovere emanare una interdittiva ovvero di una delle misure di collaborazione preventiva di cui all’art. 94-bis del codice antimafia, deve essere data comunicazione al soggetto interessato, con indicazione degli elementi sintomatici del tentativo di infiltrazione mafiosa.

  2. Il soggetto che riceve il preavviso di interdittiva ha un termine non superiore a 20 giorni per proporre osservazioni e allegare documenti,«nonché per richiedere l’audizione».

  3. Il suddetto preavviso non è dovuto nel caso in cui sussistano «particolari esigenze di celerità del procedimento».

  4. In ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione elementi che potrebbero pregiudicare procedimenti amministrativi, attività processuali o ancora l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione del fenomeno mafioso.

  5. Il procedimento deve concludersi entro un termine di sessanta giorni, pacificamente non perentorio, con l’adozione della liberatoria, ovvero con l’adozione dell’interdittiva antimafia o di una delle misure di cui all’art. 94-bis D.L. 159/2011.

  6. Infine, il comma 2-quater del medesimo art. 92 D.L. 159/2011 prevede che il Prefetto può liberamente valutare, ai fini dell’emanazione dell’interdittiva antimafia, le modifiche societarie intervenute nelle more del procedimento precedentemente descritto.

Quindi, sebbene sia evidente la volontà del legislatore di introdurre una disciplina maggiormente garantista anche per le interdittive antimafia in ossequio alle garanzie partecipative proprie della legge 241/1990, resta comunque ferma la necessità di dare ampia tutela all’interesse della tutela dell’ordine pubblico, come emerge dalla previsione delle deroghe allo strumento partecipativo, che fisiologicamente finisce per sbiadire la tonalità della partecipazione al procedimento da parte del privato.

D’atro canto, anche lo stesso art. 6 della CEDU, che tutela il diritto al contraddittorio, subisce delle deroghe nel caso delle informative antimafia, in quanto queste ultime, secondo la Corte, non rappresentano sanzioni secondo i criteri Engel1e, quindi, non devono partecipare delle garanzie prescritte per l’adozione di provvedimenti penali.


4. I PROBLEMI SUL TAPPETO.

L’entrata in vigore della normativa, tuttavia, se per un verso ha consentito di superare alcune perplessità, per altro verso ha creato alcuni dubbi interpretativi, che meritano un approfondimento.

A.

Come deve intendersi la locuzione «esigenze di celerità del procedimento», per essere idonee a comprimere le garanzie procedimentali?

Tale quesito trova compiuta risposta nella sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 403/2023, richiamata in decisioni più recenti del TAR e dello stesso CGA, ove si legge: «Ritiene il Collegio che debba escludersi nella materia in scrutinio una generale e generica possibilità di derogare alle norme ed ai principi ora richiamati, in ragione di una esigenza di celerità in re ipsa che non necessiti di essere motivata.
La deroga al rispetto del principio del contradditorio da parte dell’Amministrazione può trovare legittimazione solo in specifici casi concreti, deve essere frutto di una ragionevole ponderazione degli interessi contrapposti e deve essere adeguatamente motivata.
Le garanzie partecipative possono essere ragionevolmente derogate solo quando la comunicazione di avvio del procedimento potrebbe rendere di pubblico dominio elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia che ragioni di opportunità ne sconsiglino la divulgazione.
Tale esigenza deve coesistere con l’esigenza di anticipare il più possibile la tutela della collettività a fronte della capacità della criminalità mafiosa di inquinare il mercato e la convivenza civile.
Depone in tal senso la decisione multilivello già richiamata nell’ordinanza cautelare emessa da questo Consiglio: “in ordine al principio del rispetto dei diritti della difesa, occorre ricordare che quest’ultimo costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione”.»

In altri termini, la pronuncia appena menzionata sottolinea come la deroga legislativamente prevista meriti una specifica motivazione, senza l’utilizzo di frasi stereotipate, in grado di giustificare il disallineamento dalle forme ordinarie del procedimento.

B.

Quali sono gli atti che possono essere sottratti all’accesso?

La nozione prevista dalla legge di “elemento informativo” non disvelabile risulta essere più ampia di quella tracciata dall’art. 329 c.p.p.2, essendo ricollegabile anche al possibile pregiudizio in danno di “procedimenti amministrativi” ovvero di “altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”.
Anzi, il perimetro degli atti non disvelabili è ben diverso dal perimetro degli atti coperti da segreto investigativo, i quali, stante la natura erga omnes del divieto, non sarebbero noti neppure al Prefetto; e ciò troverebbe avallo nell’uso del termine “attività processuali in corso”, in luogo di “indagini preliminari in corso”.

Ad ogni modo, come vale per l’urgenza di provvedere, anche in quest’àmbito deve suggerirsi un prudente utilizzo del potere di oscuramento/occultamento degli atti sensibili, allo scopo di preservare il più possibile integri il senso e la ratio del contraddittorio, intenzionalmente configurato dal legislatore come preventivo rispetto alla conclusione del procedimento e non come meramente successivo (mediante istanza di autotutela o di aggiornamento) o giudiziario3.

C.

Le forme di partecipazione della produzione di osservazioni e l’audizione della parte che ne fa richiesta si pongono in termini di alternatività o sono cumulabili?

A quanto risulta, si tratta di un quesito che le Prefetture stanno cominciando a porsi e che, ad oggi, non pare essere stato affrontato dalla giurisprudenza.

Dato per pacifico che la Prefettura deve garantire quanto meno uno dei due strumenti e dato per scontato che, fisiologicamente, il privato sistematicamente opta per la produzione di osservazioni e documenti, perché maggiormente conforme alle esigenze del contraddittorio, resta da comprendere se la Prefettura possa, a fronte di una ulteriore richiesta di audizione, rigettarla.

La norma recita testualmente che, con la comunicazione della Prefettura, «è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, NONCHE’ per richiedere l’audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall’art. 93, commi 7 e 8 e 9 […]»

Orbene, l’utilizzo del termine NONCHE’ non appare univoco, specialmente in considerazione del fatto che, se è vero che le garanzie procedimentali debbono essere rispettate, è altrettanto vero che il doppio binario scritto e orale rischia di rivelarsi sovrabbondante, specialmente alla luce degli stessi principi espressi sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, giova ricordarlo, ammettono la compressione delle garanzie partecipative.

A quanto detto, si aggiunga che il procedimento connesso all’emanazione del provvedimento informativo ha sostanzialmente natura documentale.

Inoltre, l’alternatività dei due rimedi appare maggiormente conforme al rinvio effettuato al comma 7 dell’art. 93 del codice antimafia, il quale recita che «Il prefetto competente […] può invitare in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre ogni informazione ritenuta utile, anche allegando elementi documentali […]».

Pertanto, anche dalla ratio legis sembra potersi cogliere l’intenzione di volere evitare un aggravio procedimentale, specialmente nel caso in cui lo stesso risulti immotivato.

D.

Possono i soci e/o gli amministratori della Società in odor di interdizione partecipare attivamente al procedimento? Che possibili tutele giurisdizionali vantano?

La novella del 2021 prevede espressamente che solamente il rappresentante legale della Società può partecipare al procedimento amministrativo.
Posto che non sembrerebbero sussistere perplessità in merito alla possibilità di delegare l’attività istruttoria, alcune incertezze sono sorte in merito alla possibilità per i soci e gli amministratori delle società di partecipare al procedimento e/o di impugnare il provvedimento interdittivo.

In tal senso, merita di essere menzionata la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 28/1/2022, la quale ripercorre la tematica delle garanzie procedimentali per poi giungere all’affermazione del principio di diritto secondo cui soltanto la Società e non i soci e/o gli amministratori possono impugnare il provvedimento interdittivo.

L’intera decisione ruota intorno al seguente inciso: «[…] ciò che caratterizza l’interesse legittimo – e che costituisce la differenza essenziale dello stesso dal diritto soggettivo – è la sua inerenza alla esistenza e, soprattutto, all’esercizio del potere amministrativo: l’interesse legittimo, infatti, non è percepibile sul piano, per così dire, “statico”, senza, cioè, che la pubblica amministrazione abbia esercitato o negato di esercitare, nei confronti del soggetto, il potere del quale essa è titolare» (§ 12.3).

Pertanto, per rispondere al quesito di partenza, l’unico soggetto legittimato a partecipare al procedimento amministrativo è il legale rappresentante della Società ovvero il titolare della ditta individuale, non anche altro soggetto.

Tra l’altro, stante la specialità della disciplina del codice antimafia, nel caso di specie non è applicabile l’art. 9 l. 241/1990, il quale riconosce la partecipazione procedimentale a tutti quei soggetti, portatori di interessi pubblici o privati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento amministrativo.

La suddetta distinzione implica anche dei riflessi sul piano processuale. Posto che il ricorso dinanzi all’Autorità giudiziaria avverso il provvedimento interdittivo può essere proposto esclusivamente dal destinatario dell’informativa, quei soggetti portatori di interessi non immediatamente e direttamente colpiti dal provvedimento prefettizio potranno solamente intervenire in seno al giudizio impugnatorio, non vantando una legittimazione autonoma al ricorso.

E.

Qual è la corretta lettura del comma 2-quater dell’art. 92 del codice antimafia? Sono ammessi strumenti di self cleaning da parte del soggetto potenzialmente destinatario dell’interdittiva?

Fino all’entrata in vigore del D.L. 152/2021, il self cleaning è stato confinato a titolo di strumento difensivo utilizzabile ai soli fini dell’aggiornamento di un’interdittiva già emanata, ovverosia quale rimedio di ordine successivo. In particolare, esso può dare stura ad una rinnovata valutazione discrezionale del Prefetto, finalizzata all’eventuale revoca dell’interdittiva, che dovrà basarsi non tanto sull’effettivo scopo bonificatorio perseguito, ma sulla concreta idoneità della misuraapprestataa rimuovere i tentativi di infiltrazione4.

Il comma 2-quater dell’art. 92 del codice antimafia, quindi, ha introdotto una norma innovativa che recita «nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2-bis e la conclusione della procedura in contraddittorio, il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa, possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia».

Già in sede di primi commenti5, la formulazione della norma ha destato alcune perplessità. Infatti, volendo restare ad una rigida interpretazione del dato letterale, la norma che si commenta sembra scoraggiare l’adozione delle misure di self cleaning in corso di contraddittorio, colorando le misure stesse di una presunzione relativa di antigiuridicità.
Due argomenti a supporto di questa tesi letterale:

  1. Il fatto che il Prefetto può valutarle «ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia» e non anche della liberatoria oppure di una misura di prevenzione collaborativa;

  2. La spiccata somiglianza al dato testuale dell’art. 84, comma 4, lett. f) D.L. 159/2011, il quale individua elementi – dai quali desumere e non escludere tentativi di infiltrazione mafiosa – non dissimili da quelli individuati dal comma 2-quater dell’art. 92 del codice antimafia.

In realtà, la norma di cui si disquisisce avrebbe dovuto avere una finalità ben differente, se non opposta.
Attenta dottrina, infatti, ha evidenziato come tale novella prenda spunto dalle perplessità espresse dal Consiglio di Stato nella già menzionata sentenza n. 4979/2020, ove si è evidenziata l’importanza di identificare misure intermedie rispetto alla extrema ratio dell’interdittiva.

Pertanto, al privato dovrebbe essere garantita – oltre che una partecipazione di tipo difensivo – una partecipazione di tipo proattivo, consistente per l’appunto nell’identificazione di misure idonee ad evitare l’emanazione del provvedimento più invasivo.

Tale impostazione – come detto, meno allineata al dato normativo – appare in realtà più coerente con l’intera riforma del 2021, incanalata nella logica di cercare più soluzioni possibili rispetto a quella dell’estromissione dell’impresa dalle commesse pubbliche.

5. CONCLUSIONI

Le precedenti considerazioni, quindi, consentono di concludere nei seguenti termini: la materia delle informative si veste di grigio nella logica del giusto compromesso tra discrezionalità del Prefetto e garanzie partecipative.
Restano pochi interrogativi ancora privi di risposta e che certamente potranno essere fugati dall’opera interpretativa della giurisprudenza.

Francesco Pignatone

Avvocato dello Stato

1 1) la qualificazione del diritto interno; 2) la natura dell’infrazione; 3) la severità della pena.

2 Recita l’art. 329 c.p.p. (“obbligo del segreto”): “1. Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. 2. Quando è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall’art. 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero. 3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato: a) l’obbligo del segreto per singoli atti, quando l’imputato lo consente o quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone; b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni”.

3 Sulla problematica vedasi in particolare N. Durante, Il contraddittorio nel procedimento di rilascio d’informazione antimafia, in www.giustizia-amministrativa.it.

4 Cons. Stato, Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945, in www.giustizia-amministrativa.it.

5 In particolare, vedasi N. Durante, Il contraddittorio nel procedimento di rilascio d’informazione antimafia, in www.giustizia-amministrativa.it; P. Amovilli, Brevi note in tema di riforma delle interdittive antimafia contenuta nel d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233 per l’attuazione del P.N.R.R., in www.giustizia-amministrativa.it,