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Il controllo volontario delle imprese – L’intervento di Raffaele Malizia
ILCONTROLLOVOLONTARIODELLEIMPRESE
di Raffaele Malizia
La misura delcontrollo giudiziario di cui all’art. 34bisCAM, anche nella forma “volontaria” di cui al 6° comma,è stata introdotta quale figura autonoma dalla legge n.161 del 2017, essendo prima prevista (con contenuto diverso e limitato solo ad obblighi di comunicazione) quale uno dei possibili esiti della misura dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art.34 CAM.
Conlaprevisionedell’autonomamisuradelcontrollogiudiziario,chehaaffiancatoquella della amministrazione giudiziaria già prevista dal codice Antimafia, è stato potenziato il sistema, prima limitato solo a quest’ultima misura (che trova le sue origini nella sospensione temporanea dell’amministrazione deibenidi cui agli artt. 3 quater e3 quinquies della legge575/1965, introdotti con legge 356/1992), delle misure alternative alla confisca aventi la comune finalità non di recidere il rapporto dell’impresa con l’imprenditore agevolante, ma di recuperare alla libera concorrenza le realtà aziendali infiltrate dalle organizzazioni mafiose, a seguito di un percorso di risanamento, nell’ottica di bilanciare in maniera più equilibrata gli interessi che si contrappongono in questa materia.
Si è infatti progressivamente affermata la tendenza ad individuare svariati strumenti alternativi di tipo preventivo e di controllo, calibrati sul diverso grado di condizionamento mafioso, volti a tutelare la continuità dell’attività dell’impresa attraverso la sua bonifica e la conseguente riabilitazione.
Si è così venuto a delineare quello che è stato opportunamente definito come un «sotto- sistema omogeneo» delle misure di compliance aziendale, che si affianca alle misure ablative del sequestro e della confisca.
Il controllo giudiziario si caratterizza quale una sorta di “tutoraggio” all’impresa laddove vi sianoindizi difattorilevatoridipericoli concreti di infiltrazioneecondizionamento “occasionale” o “nonstabile”.E’proprio il requisito dell’occasionalità dell’agevolazione che distingue tale misura da quella dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art.34 CAM, avendo per il resto le due misure presupposti comuni.
La finalità di recupero, attraverso un’opera di bonifica, delle imprese condizionate da infiltrazioni mafiose è stata ulteriormente rafforzata dal legislatore del 2017 attraverso la modifica dell’art.20 CAM, prevedendo che“Il tribunale, anche d’ufficio, con decreto motivato, ordina il sequestro dei beni…, ovvero dispone le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti”, e pure dell’art. 24CAM, stabilendo che“Il tribunale dispone la confisca deibenisequestrati….Seiltribunalenondisponelaconfisca,puòapplicareanched’ufficiolemisure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti”.
Queste ultime disposizioni, tuttavia, hanno avuto un’incidenza pratica assai limitata, almeno nell’esperienza della Sezione da me diretta, in quanto sequestro e confisca da una parte, ed amministrazione o controllo giudiziari dall’altra, non sono misure gradatamente meno afflittive ma comunque basate sui medesimi presupposti, ma sono misure aventi presupposti tra loro alternativi, potendo queste ultime essere disposte, per espresso dettato normativo, solo quando non ricorrano i presupposti per la confisca.
Risulta quindi estremamente difficile che una proposta avanzata per il sequestro e la confisca nei confronti di un soggetto pericoloso socialmente possa dare luogo all’applicazione delle diverse misure dell’amministrazione o del controllo giudiziari.
Edinfatti,soloinuncasofinora,relativoadundecretoemessonelcorsodiquest’anno,èstata applicata la misura del controllo giudiziario in alternativa a quella del sequestro, non essendo stati ritenuti sussistenti i presupposti della confisca richiesta in proposta.
Anche per questa ragione, successivamente alle modifiche introdotte dalla legge n.161/2017 sono state disposte da parte di questa Sezione solo pochissime misure di amministrazione giudiziaria di cui all’art.34 CAM ed una sola, come detto ai sensi dell’art. 34Bis.
Riguardo al suo contenuto, la misura del controllo giudiziario – a differenza di quella della amministrazione giudiziaria che comporta la temporanea estromissione del proprietario dei beni e della azienda dall’esercizio dei propri poteri in quanto sostituito dal giudice delegato e dall’amministrazione giudiziario – ha un approccio meno deflagrante poiché implica essenzialmente poteri di controllo in capo al giudice delegato e all’amministratore eventualmente nominato dal tribunale. Essa, cioè, ècoadiuvante di un nuovo corso della gestionedella azienda,finalizzato ad un suo recupero alla libera concorrenza, una volta affrancata dalle infiltrazioni mafiose che ne avevano condizionato l’attività.
Non per questo la misura ove disposta risultameno cogente per la impresa. Opportunamente, infatti,ilcomma4attribuiscealtribunaleilpotere,alfinediverificareilcorrettoadempimentodegli obblighi imposti, di autorizzare ufficiali e agenti di polizia giudiziaria ad accedere presso gli uffici dell’impresa, studi professionali, società, banche e intermediari mobiliari al fine di ottenere informazioniedestrarrecopiadelledocumentazionicheritengonoutile;inoltre,prevedeche,laddove durante l’attività di controllo e monitoraggio si rinvengano violazioni di una o più prescrizioni o il sopravvenire dei presupposti di cui all’art. 34 co.1, il tribunale può disporre l’amministrazione giudiziariadell’impresa.Ilcontrollohaunadurataminimadiunannoemassimaditreannieconsiste nell’imporre:a)obblighiditrasparenzaecomunicazione,cuipuòessereaggiuntob)ilmonitoraggio periodicodelgiudicedelegatoedell’amministratoregiudiziarioatalfinenominato,conlafacoltàin quest’ultimo caso di imporre(comma 3) all’ente anche ulteriori obblighi1, la cui violazione, come detto, è sanzionabile ai sensi del comma 4.
Per quanto concerne, nello specifico, il controllo volontario previsto dall’art. 34 bis, comma 6, come è noto la stessa impresa, ove sia stata destinataria di interdittiva antimafia ex art.84 CAM avverso la quale abbia proposto impugnazione, può proporre istanza di applicazione del controllo giudiziario nelle forme di cui all’art. 34 bis comma 2 lett. b) al tribunale competente per le misure di prevenzione; è quindi sempre prevista la nomina di un amministratore giudiziario, oltre che del giudice delegato. Il provvedimento che dispone il controllo giudiziario sospende gli effetti dell’interdittiva previsti dall’art.94 CAM.
Va segnalato che dal 2017 ad oggi sono state avanzate davanti al Tribunale di Palermo una decina di richieste del genere; nell’ultimo anno, ne è stata proposta solo una a seguito di interdittiva del Prefetto di Palermo, ed un’altra su interdittiva del Prefetto di Agrigento; se si considera che nell’ultimo anno il solo Prefetto di Palermo ha emesso circa 70 interdittive antimafia, appare evidente come sia del tutto sporadico il ricorso a tale istituto nell’ambito territoriale di competenza del Tribunale di Palermo.
Evidentemente, la “consegna” al Tribunale della prevenzione dell’impresa non viene sentita nella maggior parte dei casi come una soluzione soddisfacente e comunque vantaggiosa rispetto agli effetti pregiudizievoli derivanti dall’interdittiva.
Come detto, il presupposto dell’accesso alla misura del controllo volontario è l’emissione dell’interdittiva antimafia da parte del Prefetto e l’impugnazione di questa davanti al giudice amministrativo.
Come noto, il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato dall’autorità prefettizia secondo la regola probatoria del “più probabile che non”, che evidentemente si caratterizza non per un diverso procedimento logico rispetto al ragionamento probatorio utilizzato dal giudice penale, bensì per la minore forza dimostrativa dell’inferenza logica richiesta.
Il Consiglio di Stato ha chiarito a più riprese che “il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento (…) penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa” .
La formula “elastica” scelta nella materia che ci occupa fondata su base indiziaria trova giustificazione nella ragionevole ponderazione tra l’interesse privato al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e l’interesse pubblico alla salvaguardia del sistema economico dagli inquinamenti mafiosi e quindi nelle preminenti esigenze di difesa dell’ordinamento contro l’azione della criminalità organizzata. Dunque, il criterio del “più probabile che non” è stato ritenuto conforme al sistema della Convenzione EDU ed ai principi costituzionali.
Ovviamente, l’emissione dell’interdittiva può essere oggi preceduta dalle misure di prevenzione collaborativa, introdotte dal D.L. n.152 del 2021.
L’art. 94 bis D.lgs n. 159/2011 prevede che l’autorità prefettizia, ove accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono da ritenersi riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, dispone con provvedimento motivato, all’impresa, l’adozione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle misure di prevenzione collaborativa.
In tal modo, si è previsto un nuovo modello collaborativo tra autorità amministrativa ed imprese che modula l’afflittività della misura preventiva antimafia in relazione all’effettivo grado di compromissione dell’impresa rispetto al contesto criminale. Dunque, in alternativa all’informazione antimafia interdittiva, possono attivarsi le misure in questione davanti all’autorità prefettizia nei casi in cui l’influenza mafiosa abbia un’intensità tale da farla reputare esclusivamente occasionale.
L’obiettivo delle misure di prevenzione collaborativa è quindi comune a quello del controllo giudiziario, essendo quello di recuperare le imprese contaminate dall’infiltrazione mafiosa in modo occasionale.
Come si è detto, l’ammissione alle misure di prevenzione collaborativa deve essere accolta ove l’infiltrazione non risulta cronica ma solo “occasionale”.
In aderenza a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al controllo volontario, la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa può essere interpretata nel senso che non debba essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dalla suddetta disposizione, ivi compresi gli obblighi informativi e gestionali previsti dal comma 3 dell’art. 34-bis.
In sintesi, il requisito dell’occasionalità che, laddove accertato, permette l’applicazione su richiesta del controllo giudiziario, sospendendo di conseguenza gli effetti della misura interdittiva che insiste sull’impresa interessata, si deve riscontrare sulla base di un duplice giudizio: in negativo, verificando la non stabilità e non attualità dell’agevolazione; in positivo, formulando una prognosi favorevole di bonifica e radicale risanamento dell’impresa In buona sostanza, le misure ex art. 94 bis appaiono assimilabili a quelle che l’autorità giudiziaria può disporre con il controllo giudiziario delle aziende, posto che ratio sottesa alla prevenzione collaborativa è la stessa del controllo giudiziario» e si rinviene nell’esigenza di «non travolgere le imprese solo macchiate da marginali presenze mafiose; si tratta quindi «di un “controllo amministrativo” che, in caso di esito positivo, anticipa e sostituisce il controllo giudiziario, e in caso di insuccesso ne ritarda o ne rende solo eventuale l’applicazione.
Riguardo al procedimento da seguire per l’applicazione del controllo volontario, l’art.34 co.6 si limita a richiamare le forme di cui all’art.127 c.p.p., e quindi quelle del procedimento in camera di consiglio, cui, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n.152/2021, è chiamato a partecipare anche il prefetto che ha adottato l’interdittiva.
Tali scarne disposizioni hanno indotto le Sezioni Unite (sent. N. 46898/2019, Ricchiuto)ad un primo intervento additivo, stabilendo in via di interpretazione analogica che il rigetto dell’istanza di “controllo giudiziario volontario” sia soggetta all’impugnazione prevista dall’art.27 CAM in via generale per l’intero «sistema delle impugnazioni delle misure di prevenzione, e quindi siano impugnabili davanti alla competente Corte di Appello.
In questo caso, per evidenti ragioni di giustizia sostanziale, è stato superato il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione che abbiamo imparato a conoscere fin dall’epoca degli studi universitari.
Sempre con la suddetta pronuncia, le Sezioni Unite, hanno affermato, riguardo ai presupposti per disporre la misura e parafrasando il giudizio cd. bifasico previsto per le misure di prevenzione personali, che il tribunale adito deve innanzitutto accertare, attraverso un momento constatativo, l’esistenza dei presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l’accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa.
A tale verifica segue un giudizio prognostico, teso a verificare se sussistano concrete possibilità che la singola realtà aziendale possa compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni inerenti alla misura invocata.
Evidenti sono le refluenze che su tale giudizio prognostico potrebbe avere l’esito negativo delle misure amministrative di prevenzione collaborativa di cui all’art.94 bis, ove disposte, e che siano state seguite dall’interdittiva. In questo caso, potrebbe ritenersi necessario accertare, sul piano prognostico, l’esistenza di elementi di fatto che possano consentire, a differenza di quanto avvenuto nella fase amministrativa, di prevedere un esito favorevole del controllo volontario, poiché in caso contrario il tribunale non dovrebbe disporre la misura richiesta.
Infine, riguardo all’esito del controllo volontario, l’art.34 co. 6 si limita a stabilire che il Tribunale, successivamente all’applicazione della misura, “anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali.”
La norma non disciplina il procedimento da seguire in questo caso, e cioè se il tribunale debba provvedere in merito all’esito di un’udienza camerale, così come previsto in sede di applicazione, oppure se possa procedere inaudita altera parte.
La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha ritenuto di adottare la prassi secondo cui si debba procedere nel contraddittorio, in analogia con quanto previsto dal comma 5° dell’art.34 bis in tema di revoca della misura ad istanza di parte (“il titolare dell’attività economica sottoposta al controllo giudiziario può proporre istanza di revoca. In tal caso il tribunale fissa l’udienza entro dieci giorni dal deposito dell’istanza e provvede nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale. All’udienza partecipano il giudice delegato, il pubblico ministero e, ove nominato, l’amministratore giudiziario”).
Quindi, in prossimità della scadenza della misura, previa acquisizione di una relazione dell’A.G. sullo stato della misura e sull’efficacia delle misure adottate nel corso della stessa, viene fissata apposita udienza camerale, a cui vengono chiamate a partecipare le parti interessate. All’esito, viene emesso un provvedimento che dia conto delle ragioni della revoca (o della eventuale proroga) della misura, e se del caso dell’applicazione di altra (e più grave) misura di prevenzione patrimoniale, ipotesi quest’ultima mai verificatasi in concreto.
1a) di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l’oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, direzionee vigilanzae dinoncompiere fusionioaltre trasformazioni, senza l’autorizzazionedaparte del giudice delegato;
diadempiereaidoveriinformatividicuiallaletteraa)delcomma2neiconfrontidell’amministratoregiudiziario;
di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi;
diadottareedefficacementeattuaremisureorganizzative,ancheaisensidegliarticoli6,7e24-terdeldecreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni;
diassumerequalsiasialtrainiziativafinalizzataaprevenirespecificamenteilrischioditentatividiinfiltrazioneo condizionamento mafiosi.